HiroKyo, Prologo (con premessa)

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Nerissa
icon8  CAT_IMG Posted on 20/8/2009, 20:07 by: Nerissa




SPOILER (click to view)
Questa parte mi è venuta un pò debole. Il fatto è che io non sono portata per l'azione. Prometto che la prossima volta farò meglio. Diciamo che è un brano di transizione.



Capitolo IV
A caccia

Un luna park abbandonato. In una zona estremamente periferica della cittadina. Dei cartelli scritti rozzamente informavano che il terreno era in vendita, ma erano sovrastati da un’ordinanza municipale che diffidava chiunque da entrare nell’area, giudicata pericolosa. Tuttavia, il cancello era appena socchiuso, e la recinzione mostrava in più punti la sua ormai inutile resistenza.
I due ragazzi entrarono, silenziosamente, senza scambiarsi una parola. Entrambi percepirono subito l’atmosfera nefasta che caratterizzava il luogo, sembrava che appena varcata la sua soglia l’aria stessa divenisse rarefatta.
Zero e Kyo sembravano speculari l’uno all’altra.
Lui, alto con i capelli d’argento, l’uniforme scura del collegio. Lei con i capelli nero corvo, l’uniforme bianca, anche lei abbastanza alta per essere una ragazza, ma dalla figura esile, i movimenti aggraziati.
Il soggetto che stavano cacciando era – o era stata – una donna. La fotografia che era stata loro mostrata era quella di una attrice abbastanza nota diversi anni prima, specializzata in Jdrama. I capelli vaporosi, i lineamenti semplici ma regolari, il sorriso dolce. I personaggi che aveva interpretato erano sempre stati quelli della donna comune, la casalinga, la parrucchiera, l’infermiera, qualche volta la segretaria. Il suo ultimo ruolo era stato quello di una giovane mamma del protagonista, una piccola star in erba, nei primi cinque episodi di Tutti i giorni con te, Soichiro. Al sesto episodio il suo personaggio era scomparso, anche perché il protagonista ormai non ne aveva più bisogno per l’economia della storia. Ma anche l’attrice era scomparsa, in un certo senso. Ora era chiaro il perché.
A parte una piccola ruota panoramica, più che altro c’erano diverse costruzioni fatiscenti – La casa dello zucchero, Il percorso degli innamorati, La Chiromante d’Occidente, c’erano ancora le insegne a designarne il tema e, naturalmente, c’era tra esse anche l’inevitabile Casa degli orrori.
- Dividerci non servirebbe a niente. – commentò Kyo. – Meglio restare insieme. Da dove vuoi cominciare?
Un rumore stridente li sorprese alle spalle, facendoli voltare all’unisono. Poco distante da loro c’era una vecchia giostra di ferro, arrugginita, circolare, con dei minuscoli sedili. Mentre la stavano guardando si mosse appena, riproducendo quel rumore fastidioso. Zero guardò più attentamente, c’era qualche dettaglio che non lo convinceva. Poi si accorse che era un fagotto marrone, proprio accanto alla giostra.
Si avvicinarono. Il fagotto era il corpo di una donna. Kyo si chinò su di lei, non tanto per constatarne la morte, che era evidente, quanto per scostarle il collo del soprabito marrone che indossava. Due buchi inequivocabili le marchiavano la base del collo.
- L’ha morsa da poco. – disse Kyo. – Le ferite sono ancora freche, perdono ancora qualche goccia di sangue.
- Allora è sicuro che è qui. – commentò Zero.
- Sì, ma c’è qualcosa di peggio da considerare.
- Uhm?
- Questa donna non era sola. – Kyo, rialzandosi, indicò un coniglietto di pezza tenuto stretto dalla mano irrigidita della morta. – C’era un bambino, con lei.
- Cazzo! – esclamò Zero, guardandosi rapidamente intorno, chiedendosi da dove cominciare per fare il più presto possibile. Intanto, tirò fuori la Bloody Rose.
- Che cosa ti dice il tuo sesto senso? – chiese alla compagna ma, per una volta, nella sua voce non c’era traccia di ironia.
- Andiamo alla Casa dello zucchero. – rispose Kyo, con un tono che sembrava dire che era la cosa più ovvia del mondo. Zero la seguì senza replicare.
La Casa dello Zucchero era, praticamente, una sorta di replica della casetta di Hansel e Gretel, era stata interamente decorata in modo tale da sembrare essere stata costruita da biscotti e cioccolatini. Era una costruzione ad unico piano, con il tetto spiovente dal quale una volta spuntava un finto comignolo – che ora non esisteva più, come non esistevano più la porta e le finestre.
Entrarono, attenti a non fare il minimo rumore per cogliere quelli che potevano offrire loro un indizio su dove dirigersi. La prima stanza era una specie di tinello, con un tavolo rettangolare al centro, circondato da tre sedie. Sulla spalliera di una di esse, c’era appeso un minuscolo cappottino. Kyo si avvicinò per sfiorarlo e, proprio in quell’istante, udirono l’urlo inconfondibile che precedeva il pianto di un bambino, quando qualcosa lo spaventa, o quando fa i capricci perché non ha ottenuto quello che voleva. I due ragazzi corsero attraverso l’archetto che introduceva dalla prima stanza ad un lungo corridoio dove si affacciavano una serie di porte chiuse. Zero lasciò stare le prime, perché il lamento che avevano sentito gli era sembrato più lontano, ma iniziò a sfondarle sistematicamente con dei calci dalla quinta in poi.
Lo fece tanto per essere sicuro ma, naturalmente, fu nell’ultima stanza che trovarono la creatura. Era accovacciata in un angolo della stanza, quello più lontano dalla finestra, e teneva stretto il bambino di pochi anni, al massimo tre, che si dibatteva tra le sue braccia, il visino paonazzo dallo sforzo di piangere disperatamente. I capelli coprivano il volto della donna, ma non potevano nascondere il luccichio dei canini che sporgevano dalle sue labbra sogghignanti.
- Ben – ve-nu- ti… - disse, tra un singulto di risata sinistra e l’altro. - Vo-le-te…un-a taz-za di tè…?
Zero puntò immediatamente l’arma, ma Kyo posò la sua mano su di essa. Sì avvicinò di qualche passo alla donna, che continuava a sogghignare tra sé. Questa sollevò finalmente il volto e i suoi occhi –non – più – occhi fissarono Kyo attraverso i capelli. La sua risata si interruppe improvvisamente, le sopracciglia si aggrottarono e la sua bocca si strinse sulle zanne. La sua voce le uscì improvvisamente stentorea.
- Non mi prenderai il mio bambino! – esclamò, stringendolo più forte. Il piccolo urlò di nuovo.
- Gli stai facendo male. – disse Kyo, calma.
- Come potrei fare del male al mio bambino? – ribattè la donna. In quel momento sembrava quasi normale.
- Non è il tuo bambino. Lo sai benissimo.
- Adesso sì. La madre è morta. Io sono sua madre, adesso.
- La madre è morta. – assentì Kyo. – Ma tu non puoi sostituirla. Non puoi prenderti cura di lui. Lo sai quello che sei.
- Kyo, spostati, facciamola finita. – intervenne Zero. Teneva la testa della Level E sotto tiro, la cosa gli sembrava più semplice del previsto e voleva concluderla alla svelta.
- Allora…- fece la donna Level E, avvolgendo l’esile collo del bambino ormai esausto con una mano, - lo porterò con me. – e si alzò in piedi, pronta a fuggire verso la finestra. Ma, appena fatto un passo, Kyo le comparve alle spalle e, rapidissima, le circondò il collo con un braccio mentre, con la mano, le perforò la schiena. – Prendi il bambino!! – gridò a Zero che si precipitò ad afferrare la creaturina prima che cadesse in terra. La donna, infatti, stava esplodendo in sabbia, come sempre accadeva.
Il bambino aveva ricominciato a piangere, in braccio a Zero. Ma, ormai stravolto dalla stanchezza, si limitava a sommessi singhiozzi e brevi lamenti. Kyo si stava spazzolando l’uniforme dalla polvere che la donna che aveva lasciato addosso.
- Era l’ultimo nome della lista, per oggi, vero?
Chiese, senza guardare Zero, disinvoltamente. Lui tacque, allora lei alzò gli occhi verso di lui, interrogativamente. La stava fissando, continuando a tenere il piccolo tra le braccia come se fosse un pacchettino delicato.
- Zero?
- Sì, era l’ultimo. – rispose finalmente lui.
Kyo alluse al piccolo facendo un gesto con il mento.
- Vuoi che lo prenda io?
Zero esitò. Poi le porse il fagottino che, nel frattempo, si era addormentato. I lineamenti di Kyo si addolcirono mentre avvicinava il suo volto a quello del piccolo.
- Poverino. Adesso che cosa sarà di te? Speriamo almeno che tu abbia un papà…- Poi alzò gli occhi verso Zero. – Conosci un posto dove possiamo portarlo?
- Sì. – si limitò a rispondere lui. Le voltò le spalle e uscì dalla stanza.
Kyo scosse appena la testa, sorridendo tra sé.

Le lezioni stavano per cominciare ed Aidouh aveva preceduto gli altri perché voleva completare dei calcoli che stava facendo su una formula chimica. Erano settimane che si dedicava a questo progetto e la cosa lo entusiasmava di giorno in giorno. Non aveva condiviso questo suo studio con i compagni, perché non voleva essere seccato da stupide domande e, soprattutto, ci teneva ad esporre a tutti il risultato finale – perché lo avrebbe ottenuto, ne era certo – in una unica soluzione e nel modo più elegantemente spettacolare possibile. Entrò nell’aula con un sorrisetto sulle labbra ed uno dei suoi preziosi quaderni sotto il braccio.
Ma si accorse che qualcuno lo aveva preceduto.
Hiro era seduto in alto, accanto alla finestra. Il gomito poggiava sul banco e il mento poggiava sul palmo della mano. Si era tolto la giacca della uniforme e si era arrotolato le maniche della camicia nera, come al solito.
Aidouh aggrottò le sopracciglia. In verità, non aveva alcun motivo razionale per avercela con Hiro, dal giorno del suo arrivo si erano scambiati al massimo un paio di parole. Forse lo infastidiva quel suo individualismo solitario così sfacciato, quel suo non fare gruppo in alcun modo con gli altri. La sua apparente indifferenza perfino nei confronti di Kaname Kuran. In quella sua posa, nel buio dell’aula, glielo ricordava peraltro parecchio, Kaname. Ma solo nella posa. Aidouh doveva ammettere che Hiro non aveva l’aria di nascondere qualcosa, il suo sguardo, anzi, era solitamente fin troppo cristallino. Distolse lo sguardo da lui e si avviò al suo solito posto. Mentre si avvicinava si accorse che alcuni dei suoi quaderni erano sul banco. Doveva averli dimenticati la sera prima. Uno era aperto.
- Non ci posso credere! – esclamò, sbattendo quello che aveva in mano forte sul banco. – hai letto i miei appunti!!!
Hiro distolse a fatica lo sguardo dall’oscurità in cui si era perso, fuori dalla finestra e posò quei due occhi che sembravano fatti di quarzo rosa, svogliatamente, su Aidouh.
- Erano cose riservate. Come hai potuto essere così privo di discrezione? Chi ti credi di essere?
- Ma di che parli? – chiese Hiro, guadandolo perplesso.
- Come “di che”? di questi quaderni, che avrebbero essere ordinatamente impilati e che invece sono qui, aperti. Non ti sei nemmeno disturbato a rimetterli al loro posto.
- Scusa, ma perché dovrei averteli aperti proprio io?
- Come perché? Sono entrato e tu eri qui, i quaderni erano aperti, non c’era nessun altro.
- Capisco. – Hiro era insolitamente remissivo, persino il suo solito sorriso ironico non faceva capolino sulle sue labbra.
- Se ne sei convinto, ti chiedo scusa. – disse, tornando a guardare fuori dalla finestra. Aidouh si imporporò dalla rabbia.
- Ma che mi prendi in giro?!!
- Aidouh. – una voce bassa e inconfondibile gli raggelò la schiena. Aidouh si voltò immediatamente, trovandosi il capo dormitorio molto vicino.
- Kaname – sama!
- Stai come sempre esagerando, Aidouh. In ogni caso, anche se sono certo che Nakada non ti abbia sbirciato nei quaderni, ti ha chiesto comunque scusa. Credo che potresti chiuderla qui.
- Ma, Kaname…- Gli occhi di Kuran non ammettevano repliche. – Va bene. E’ che questi studi che sto facendo sono molto importanti, per me.
- Lo capisco. – proseguì Kaname. – In verità lo sono per tutti noi, non è così? Stai dopotutto tentando di migliorare la formula delle pasticche ematiche, per renderle più propizie al nostro palato.
Aidouh spalancò gli occhi.
- Kaname, tu…
- No, Aidouh. Conosco solo il tuo modo di pensare.
- In verità, serve un additivo che agisca sul cervello, non sul palato. – intervenne inaspettatamente Hiro. – Le pasticche ematiche, in se, sono efficaci, solo che non riescono ad agire sulla parte di cervello che controlla il nostro sistema inibitorio. Quindi, quando le sciogliamo nell’acqua, e le beviamo, non restiamo comunque soddisfatti, perchè l’effetto agisce solo a metà, non lenisce il desiderio, solo il bisogno di sangue. Ma potrebbe esserci un qualche eccipiente naturale che potrebbe molto semplicemente compensare questo difetto. Non so…la Pandora, per esempio.
- E che diavolo sarebbe? - chiese Aiudouh.
- Un’erba medica che cresce tra le rocce, nella zona dove sono nato. Un tempo, all’epoca delle grandi carestie, si usava per resistere ai morsi della fame. Riusciva ad ingannare il cervello molto bene, si dice. Si potrebbe provare ad aggiungerla al composto, manipolandola un po’, ma non so, magari gli altri componenti della pasticca, o anche uno solo di essi, potrebbe renderla inefficace.
Tutto questo discorso, Hiro lo aveva fatto senza minimamente abbandonare la sua posizione, e senza voltarsi mai verso gli altri due occupanti della stanza. Sembrava quasi che solo una parte di se stesse parlando, mentre l’altra era altrove. Completamente altrove. Poi, all’improvviso, si riscosse. Si voltò e guardò Kaname.
- Kaname – sama – disse, serissimo. Sembrava che volesse aggiungere altro. Ma non lo fece. Restò a fissare Kaname, come se gli stesse parlando, ma dalla sua bocca non uscì una parola.
Kaname ricambiò i l suo sguardo. Altrettanto a lungo.
- Credimi, Hiro – si decise alla fine a rispondere. – Le cose non stanno ancora al punto in cui temi. Ho fatto in modo che non lo fossero.
Un mormorio fuori dalla porta annunciò l’arrivo degli altri studenti della Night Class e la strana conversazione si interruppe. Per tutta la durata delle lezioni, di tanto in tanto Aidouh lanciava delle occhiate di sbieco a Nakada, cogliendolo sempre nella stessa posizione. E fu con genuina sorpresa quando, alla fine della notte, al momento di lasciare tutti l’edificio scolastico per fare ritorno ai dormitori, Hiro, passandogli di fronte, gli lascio cadere un foglietto sul banco.
- E’ la pozione che mi hanno insegnato, a base di pandora.
- E cosa me ne dovrei fare?
- Fanne quello che vuoi.
Ribattè Hiro, voltandogli le spalle ed andandosene portandosi dietro la giacca appallottolata in mano.


Edited by Nerissa - 21/8/2009, 18:43
 
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